L’hanno chiamato l’Uomo del Rinascimento, per raccontare la sua rivoluzione. Perché questa magica estate dello sport italiano e del nostro Paese è cominciata con il suo capolavoro di Londra, un mese di emozioni e gioia collettiva, trenta giorni di lacrime e abbracci, di tutte quelle cose dimenticate ormai da troppo tempo, dentro all’incubo infinito che percorriamo nel calvario della pandemia. Roberto Mancini, Ct della Nazionale azzurra di calcio e testimonial di Poste, ha realizzato qualcosa di straordinario che forse è andato persino al di là delle sue intenzioni: quello che ha insegnato ai suoi uomini è diventata una lezione per tutti, affrontare la vita a testa alta, metterci coraggio, senza chiuderci nelle trincee del fango e della nostra paura, e non mollare mai.
Prima la bellezza
È quello che proviamo a fare ogni giorno anche noi, sul nostro posto di lavoro, nella normalità delle nostre vite. Mancini ha insegnato ai suoi che si doveva vincere giocando a viso aperto. “Dobbiamo prima diventare belli, e poi cercare il successo”, ha spiegato. Per fare questo, il Mancio, come lo chiamavano quando giocava a pallone, ha creato un vero e proprio ecosistema lavorativo, fatto di competenze e amicizia, scegliendosi attorno i collaboratori più fidati per riuscire a creare il clima giusto su cui fondare il suo progetto. Alla fine, ha portato a termine un compito persino manageriale, perché è come se avesse realizzato una sorta di rivoluzione quasi industriale, ribaltando filosofie e idee ormai così radicate da sembrare eternamente immutabili.
Artefici del nostro destino
Non ha cambiato i giocatori, gli operai e gli ingegneri che costruiscono il prodotto, perché la spina dorsale della squadra è la stessa del 2018, quando contro l’Ucraina è iniziata la lunga striscia di partite senza sconfitte. Ha cambiato il sistema, i concetti base, l’approccio al lavoro che è poi l’approccio alla vita. Roberto Mancini ha spinto gli azzurri oltre confini inesplorati, mai considerati in tutta la sua storia da una nazionale italiana, dentro la terra ignota della bellezza e dell’attacco a oltranza. Anche Arrigo Sacchi predicava tanto il bel gioco, ma la sua nazionale perseguitava qualsiasi forma d’arte e di fantasia ed era veramente brutta. Il Mancio ha fatto proprio il contrario: ha messo in campo tutta la fantasia che poteva, togliendo dalla squadra i ruvidi medianacci che hanno sempre fatto la storia dell’Italia, perché da ora in poi a comandare fossimo noi, imponendo il nostro gioco. Non dipendevamo più dagli altri e dalla nostra paura. Solo noi diventavamo artefici del nostro destino.
Ammirati dall’Europa
Ha preso una nazionale di cartapesta e l’ha trasformata nella più gioiosa macchina da guerra da presentare al mondo e allo stupore degli europei. Ha costretto i padroni di casa, gli spocchiosi inglesi che ci hanno sempre condannato per il nostro gioco sparagnino, a fare il peggiore dei catenacci, chiusi a muro nella propria metà campo, come abbiamo sempre fatto noi, per vincere le partite da brutti sporchi e cattivi, temuti e odiati da tutti. Questa volta no. Questa volta abbiamo conquistato il loro stupore, persino un’ammirazione incredula.
Più di una vittoria
Così, il modo in cui l’Europeo 2020 è stato portato a termine ha significato molto più di una semplice vittoria. È stato il manifesto di una nazionale che ha scelto di cambiare per ritornare ai fasti di un tempo, puntando tutto sulla Bellezza, perché lei, la Grande Bellezza, è un nostro patrimonio comune. Non dobbiamo copiarla da nessuno, non abbiamo bisogno di imitarla. Ce l’abbiamo noi. Appartiene alla nostra vita. Da quando è cominciata la sua avventura, il 28 maggio 2018, a San Gallo, contro l’Arabia Saudita, Mancini ha fatto capire subito che i principi non si possono negoziare, che bisogna fare delle scelte forti e crederci fino in fondo.
La via della modernità
Tre anni dopo la notte di San Siro e la storica esclusione dai Mondiali di Russia, ha costruito una Italia bella, divertente, giovane e fresca. Ma soprattutto moderna. E questo è forse il merito manageriale e industriale più importante del CT, quello di aver scelto con coraggio, contro la nostra tradizione e un radicato conservatorismo mediatico, la via della modernità. Anche per tutto questo, è il perfetto testimonial di Poste.
La doppia impresa di Mancio
Alla fine, il Mancio è stato artefice di una doppia impresa. Ha restituito passione per i colori azzurri, quella stessa passione che è continuata dopo Londra per arrivare ai giorni nostri e alle Olimpiadi, all’incredibile peso dei nostri trionfi nell’atletica, e alla magia di una serie di risultati positivi che testimoniano la crescita sportiva del Paese, che è poi davvero la cosa che conta di più. Ma per riavvicinare il pubblico ci volevano i risultati ed è stato il campo a parlare. Il CT ha dimostrato con i fatti che fare un calcio diverso è possibile, che non siamo più i poveri contadini usciti disastrati da una guerra, che la storia ci ha cambiato anche geneticamente, e non dobbiamo più aver paura degli altri. Per questo l’Italia di Mancini ci ha rappresentato tutti, ed è stato il volto nuovo di un Paese che aveva un bisogno disperato di aggrapparsi a una grande impresa sportiva per credere in se stesso e rialzare la testa. La magica estate italiana è cominciata così. Quando abbiamo capito che la storia siamo noi, che possiamo scriverla. Che dobbiamo farlo.
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