Il telefono prima, Facebook ora Meta, Tweeter, Instagram e ogni altro mezzo futurista di comunicazione hanno messo all’angolo la “Lettera” e ora pare stiano mandandola lentamente in soffitta. Ma la “Lettera” con il suo stile, da quando fu inventata la scrittura, resta il modo principe di comunicare da vicino e lontano, di confidare e rivelare l’animo umano con tutte sue corde sentimentali. Senza, non potremmo disporre di un patrimonio immenso di umanità e umanesimo. Una conferma ci viene dalla vita e dall’esperienza di Rita Levi Montalcini (ricordata anche con un importante francobollo a novembre 2013, poi incluso in una delle tre cartelle filateliche “Le Meraviglie dell’Italia”), una biologa tra le più eccellenti nell’ambito della ricerca che maggiormente ha contribuito a migliorare la vita umana sul pianeta.
La scoperta
Dobbiamo infatti alle 238 lettere ai familiari scritte tra il 1946 e il 1970 e scelte tra le oltre 1500, la possibilità di bucare il proscenio e scoprire il percorso esistenziale, l’animo che ha accompagnato Rita Levi Montalcini all’inizio e nello lo sviluppo dei suoi esperimenti fino alla scoperta del Ngf (Nerve growth Factor, fattore di crescita nervoso). La scoperta ha permesso un salto di qualità allo sviluppo delle neuroscienze e delle cure delle malattie nervose più misteriose e temute quali il cancro, l’Alzheimer, il Parkinson. Dopo il conferimento del Nobel per la medicina nel 1986, la Montalcini, divenuta famosa, ne ha parlato in più circostanze. Ma nessun ambito ha preceduto la Lettera o è risultato parimenti efficace, evocativo, quanto le sue lettere ai familiari. Leggerle per credere. Sono raccolte dalla stessa autrice nel volume pubblicato con il titolo “Cantico di una vita” (Raffaele Cortina, 2000). Documentano per l’appunto la sua vita quotidiana, i suoi sentimenti, le sue intuizioni, i progressi, i dubbi e i contrasti di ogni ricerca scientifica, e ci restituiscono non solo la scienziata forgiata dalla fatica e dall’impegno, ma la donna al servizio della verità e della dignità di ogni essere umano, operosa per una società libera dal tarlo della corruzione e della discriminazione che aveva dovuto subire con la sua famiglia sotto il fascismo in quanto ebrea. La sua lunga vita l’ha resa capace di seminare coraggio.
La vita della studiosa
Cantico di una vita: “Continuo ad essere in luna di miele con i miei embrioni…”. Così Rita Levi Montalcini narra ai propri familiari la scoperta che, a distanza di un trentennio, la porterà al premio Nobel. In queste lettere dagli Stati Uniti, la grande studiosa italiana non dà solo un quadro di una ricerca che ha cambiato il volto della biologia contemporanea, ma offre al lettore uno spaccato dall’interno della vita di scienziati. È una testimonianza di alto valore umano. Tre passioni costituiscono il filo rosso dell’esperienza intellettuale di questa donna ammirevole: l’affetto per i propri cari, l’impegno nella ricerca scientifica e il prodigarsi tutta nell’aiuto al prossimo. Sembra difficile tessere in armonia questi obiettivi. Rita vi è riuscita.
Verso il Nobel
La primissima notizia della scoperta lavorando con gli embrioni di topo e di pollo, la confida nella lettera del 5 gennaio 1951 alla mamma e alla sorella Paola sua gemella: “Ancora in luna di miele? Sì, ancora e più che mai in luna di miele con i miei embrioni. Non vi stancherete di sentirmi parlare di loro? Ma se non lo dico a voi a chi debbo dirlo?… Dunque vi dicevo continuo ad essere in luna di miele con i miei embrioni. Ogni giorno il piccolo spiraglio che ho aperto si apre un pochino di più e mi domando se è la grotta di “Apriti Sesamo” che ho davanti a me…Voi sapete che sto studiando lo sviluppo del sistema nervoso e in particolare cercando di capire quale forza misteriosa (da cinque o sei anni un’infinità di embriologi si rompe la testa su questo problema) diriga le fibre motrici agli organi di moto, quelle di senso agli organi sensitivi e le viscerali ai loro rispettivi organi…Ma che cosa è questa scoperta? Ve lo dirò sommariamente anche per evitare che a furia di parlarne in modo misterioso, vi dia la sensazione che è più grande di quanto non sia realmente…Ritengo tuttavia che questo mio lavoro mi procurerà, nell’ambito scientifico americano, una certa notorietà. Credo superfluo pregarvi di non parlarne con nessuno all’infuori dei nostri cari. E se ve ne scrivo non è per vantarmi, ma perché so quanto vi godete con me di ogni mia gioia. E mai gli embrioni me ne hanno procurata tanto”. Il suo Nobel sarebbe arrivato dopo tanti anni, ma seguito da una serie impressionante di riconoscimenti scientifici e pubblici e dal rimpianto di averla socialmente valorizzata tardi.