L’impegno per un mondo più sostenibile riguarda tutti, dal singolo alle grandi aziende. Ciò nonostante, sono proprio le attività produttive a doversi sforzare di cambiare il proprio modo di lavorare, riducendo al minimo il proprio impatto. In questo Poste Italiane è tra i pionieri in Italia, grazie alle sue attività che le permetteranno di raggiungere la carbon neutrality entro il 2030. Telmo Pievani, professore della cattedra di filosofia di scienze biologiche presso il dipartimento di biologia dell’Università di Padova e autore del libro “La natura è più grande di noi”, racconta a TGPoste quali siano le buone pratiche da mettere in atto per tentare di invertire il processo di cambiamento climatico che sta interessando il pianeta.
Nel suo ultimo libro, “La natura è più grande di noi”, parla della natura e della sua immensità. Nonostante questa grandezza, l’intervento umano si dimostra determinante, nel bene e nel male, per le sue sorti. Quali sono le buone pratiche che si devono mettere in atto?
“Le buone pratiche sono molto diverse tra di loro ed interessano tutti i campi della nostra vita. La scienza sottolinea la necessità di ridurre l’impatto delle attività umane sotto diversi punti di vista, come l’alimentazione, il consumo di acqua e le emissioni che generano gli allevamenti, fino ad arrivare ai trasporti ed alla produzione industriale agricola. Tutti i comparti delle attività umane devono trovare una maggiore sostenibilità: non è più il tempo di scegliere un comportamento o l’altro, ma bisogna metterli in pratica tutti. È bene ricordare però che l’impatto maggiore lo hanno le attività produttive: quindi vanno bene i comportamenti individuali, ma servono anche decisioni politiche per fare la differenza”.
Il cambiamento climatico è un tema da prima pagina. Ritiene che sia cambiata anche la sensibilità della gente comune rispetto a questo problema?
“Sì è cambiata, lo dicono i dati, però sta cambiando forse troppo lentamente. C’è una disparità tra l’accelerazione del processo e la sensibilità. Il riscaldamento climatico per un po’ non l’abbiamo visto, perché ha proceduto in modo graduale, mentre adesso sta accelerando: è certo che arriveremo ad un aumento di 1 grado e mezzo e questo vuol dire che il processo accelera ulteriormente; quindi, dobbiamo fare tutto il possibile perché questa consapevolezza si diffonda sempre di più. È vero che è un argomento da prima pagina, però in fondo lo trattiamo sempre alla stessa maniera, cioè in modo monotono e ripetitivo, con toni sempre da emergenza e un po’ apocalittici e questo genera assuefazione e rassegnazione nel pubblico. Bisogna trovare nuovi linguaggi per raccontarlo”.
Le Nazioni Unite riconoscono anche nelle aziende un attore fondamentale per la sostenibilità ambientale e l’efficientamento energetico. Quali misure possono mettere in campo per fare la propria parte, andando oltre il cosiddetto greenwashing?
“La prima cosa da fare è puntare sull’economia circolare: bisogna fare in modo che nella produzione industriale ci sia un ritorno di tutte le materie prime e dei prodotti utilizzati. Su questo devo dire che si sta facendo tanto, anche attraverso corsi di laurea specifici, uno dei quali si trova all’ateneo di Padova. Nel giro di un paio d’anni usciranno dei professionisti laureati per aiutare le aziende a riorganizzare la loro produzione in modo da renderla più circolare possibile. Ovviamente non è tutto bianco e nero e questo processo non è automatico, però si può partire gradualmente e ridurre il più possibile l’utilizzo dell’usa e getta, specialmente delle plastiche”.
Crede che i comportamenti virtuosi delle aziende possano contribuire a diffondere una cultura della sostenibilità tra i dipendenti e i clienti?
“Alcune grandi aziende hanno già dei progetti molto avanzati che prevedono anche una consapevolezza dei loro dipendenti, tra l’altro in comparti critici come la chimica o l’acciaieria. Bisogna però accelerare, perché non c’è più tempo: stiamo raggiungendo quello che gli scienziati chiamano Tipping Point, punto di non ritorno. Bisogna evitarlo il più possibile, perché una volta raggiunti certi livelli il mondo diventerà più arido, ci saranno molti più fenomeni estremi e si registrerà una forte instabilità dei prezzi”.
Nel caso di Poste Italiane, l’azienda si è impegnata a raggiungere la carbon neutrality entro il 2030 e a dotare i propri stabilimenti di pannelli fotovoltaici, in anticipo rispetto agli impegni presi dagli organismi internazionali. Se la più grande azienda del Paese si pone questi obiettivi significa che possono farlo anche le istituzioni?
“Esattamente, se lo può fare un’azienda grande e complessa e con molte sedi vuol dire che lo possiamo fare tutti. Le tecnologie per la transizione ecologica ci sono, così come ci sono i modelli di economia circolare a cui ispirarsi e road map per raggiungere la neutralità di emissioni. Tra l’altro, è giusto puntare alla neutralità delle emissioni piuttosto che sulla compensazione, come stanno facendo altri. Le compensazioni richiedono tanto tempo, gli alberi ci mettono decenni prima di assorbire le emissioni; si tratta di azioni meno efficaci”.